La febbre dengue è una delle molte malattie trasmesse da zanzare che in tempi recenti si sono espanse molto al di fuori delle zone tropicali di origine, dove sono endemiche. Ad esempio, prima del 2010, gli ultimi casi trasmessi in Europa risalivano al 1928; negli ultimi otto anni invece si sono registrati ripetuti episodi di trasmissione locale di dengue in Francia e Croazia, e una grande epidemia nell’isola portoghese di Madeira. Capire come si diffonde l’infezione nello spazio e nel tempo in queste zone di nuova espansione ha un’importanza cruciale per implementare strategie di intervento efficaci ed economicamente efficienti. Risultati recenti hanno evidenziato che in questi contesti, oltre il 70% delle infezioni viene contratto in un raggio di 500 metri dal luogo di residenza di individui infetti, e che l’area coinvolta da un focolaio epidemico aumenta il suo diametro di circa 600 metri al mese. L’applicazione di insetticidi nelle aree interessate può comunque smorzare la trasmissione efficacemente: se gli interventi avvengono entro un mese dal caso che ha dato inizio al focolaio si possono evitare oltre due terzi dei casi di infezione e ridurre della stessa quantità la sua durata e l’area coinvolta.
A queste importanti conclusioni, pubblicate sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Communications, sono giunti Giorgio Guzzetta, Roberto Rosà e Stefano Merler di Epilab, l’unità di ricerca condivisa (Joint Research Unit) recentemente costituita tra la Fondazione Bruno Kessler e la Fondazione Edmund Mach nell’ambito dell’epidemiologia quantitativa delle malattie emergenti.
Lo studio, intitolato “Quantifying the spatio-temporal spread of dengue in a non-endemic Brazilian metropolis via transmission chain reconstruction”, è stato condotto in collaborazione con due ricercatori dell’Università Federale di Minas Gerais (Brasile) e ha analizzato la diffusione della dengue a Porto Alegre, una delle poche metropoli brasiliane rimasta fino a pochi anni fa indenne dal virus grazie a un clima temperato, simile a quello delle nostre latitudini. Come avvenuto per l’Europa, anche a Porto Alegre le autorità sanitarie hanno iniziato a registrare i primi casi sporadici di trasmissione nel 2010, e dal 2013 si sono verificati numerosi focolai epidemici che hanno coinvolto almeno tremila persone in varie zone della città.
Usando tecniche statistiche innovative, i ricercatori trentini sono riusciti a ricostruire la sequenza probabile degli eventi di trasmissione, ovvero “chi ha infettato chi”, e da questa sono risaliti alle informazioni sulla dinamica spaziale e temporale dell’infezione. “Le specie di zanzare che trasmettono la dengue a Porto Alegre raramente si spostano a distanze superiori ai 100 metri. I nostri risultati mostrano quindi che il contagio avviene principalmente tramite i movimenti delle persone”, spiega Stefano Merler. “In particolare, i responsabili principali sono gli spostamenti brevi a piedi o in bicicletta nei dintorni della propria abitazione, piuttosto che i lunghi tragitti di pendolarismo effettuati con i mezzi. Tuttavia, le trasmissioni che occasionalmente avvengono lungo distanze maggiori favoriscono l’innesco di nuovi focolai in zone diverse della stessa area urbana o anche in altre città”.
“L’informazione sulla distanza di trasmissione è cruciale per ottimizzare i protocolli di trattamento con insetticidi in modo da evitare nuovi focolai o da limitare quelli in corso”, aggiunge Roberto Rosà. “Ad esempio, ci permette di capire qual è l’area ottimale da trattare per limitare il contagio, tenendo conto degli inevitabili tempi di ritardo necessari a identificare l’epidemia e all’organizzazione logistica degli interventi. Questi risultati possono guidare gli interventi di disinfestazione anche sul nostro territorio: le zanzare tigre nostrane, infatti, possono essere vettori di malattie tropicali, come dimostrato dalle epidemie italiane di chikungunya del 2007 e del 2017.”
Il VIDEO commento di Stefano Merler (FBK): https://youtu.be/enNjqCqkOEk