Agricoltura e prodotti

Coltivare il peperoncino in Trentino
Cayenna di montagna

di Antonio Girardelli

COLTIVARE IL PEPERONCINO IN TRENTINO

Cayenna di montagna

Antonio Girardelli

 

Se in  principio, era il 2013,  i membri pionieri della coltivazione del  “Peperoncino Trentino ®”, Andrea Vergari e Maurizio Zanghielli,  appassionati di piccante da sempre, un idea che a molti già sembrava balzana nei suoi stadi primordiali, avevano suscitato ilarità e scarso interesse, oggi possiamo affermare, a distanza di quasi tre anni dalle prime esperienze per così dire “domestiche”, che non è più così.

Dal seme alla produzione il passo è stato breve, tenendo peraltro conto che passare dal terrazzo di casa alla produzione di pieno campo - su un appezzamento incolto reperito l’anno successivo, nel 2014, a Folaso, sul conoide sovrastante Isera e la zona del Mossano - le operazioni di messa a coltura avrebbero richiesto una buona dose di impegno e tenacia .

Non più vasetti quindi, basta coltivazioni domestiche sui balconi e terrazzi e negli orti, ma un campo aperto, idealmente proteso a Est-Sud Est, come di meglio non si poteva trovare . E quei semi, di oltre quaranta varietà del poco conosciuto Capsicum Annuum, hanno costituito la base di partenza di quella che sarebbe di lì a poco diventata un'associazione, con oltre 220 membri, che ogni anno ricevono in cambio sei piantine di cultivar differente per il proprio uso, un marchio registrato, un logo, altri campi, dei  prodotti trasformati, una App, la presenza costante e seguitissima sui social (www.facebook.com/Peperoncino-Trentino-), il sito www.peperoncinotrentino.it ma soprattutto l'interesse da parte di persone diverse, per estrazione, cultura, provenienza, professione, accomunate dall'intento di fare del peperoncino una occasione di crescita colturale, culturale, culinaria e, per qualcuno, anche professionale.

Stabilite dunque, di comune accordo, le regole di coltivazione (il metodo dell’agricoltura biologica, senza escludere l’osservazione di eventuali pratiche biodinamiche), ci si è attivati per trasferire a Folaso queste 40 varietà, rappresentate forse più da cultivar o ecotipi di seme reperiti in tutto il mondo, e qui poterne testare la reale adattabilità climatica, che è condizionata in special modo dalla latitudine.

Si sono quindi attentamente valutate, di conseguenza, esposizione e quote, consentendocidi individuare alcune varietà, tra quelle inizialmente introdotte, considerate poco soddisfacenti sotto l’aspetto della produttività o della maturazione. Varietà legate indissolubilmente anche  al fotoperiodo, che in maniera particolare nella seconda metà di stagione gioca un ruolo importante nell’assecondare l’andamento conclusivo del ciclo stesso.

Le ore di luce , quelle di caldo e le caratteristiche dei luoghi di origine (ci confrontiamo qui col centro America , la Colombia, parte del Brasile, ove le piante hanno maggiore sviluppo ma soprattutto godono di maggiore longevità, quindi risultano più produttive e meno problematiche da coltivare), sono i fattori limitanti che, associati all’origine prevalentemente calcarea dei nostri terreni, hanno creato non poche preoccupazioni e difficoltà, ma che ci hanno anche stimolati a proseguire; provando, correggendo , a volte escludendo, altre volte cancellando tutto per ripartire da capo, in un continuo turbinio evolutivo che è un po’ intrinseco forse alla Spp. stessa così come la vediamo noi oggi .

Ecco allora comparire come d’incanto colori e forme diverse, dai nomi a volte noti a volte sconosciuti, spesso derivati in altrettante curiose e incredibili varietà: dagli Habanero agli Jalapeno, Hot Lemon, e poi via via Incendio, Cayenne, Chili, Mulato, Serano, Smagliato, Calabrese a mazzetto, Thai, Apache, Scotch Bonnet, Madame Jeanette, Bacio di Satana, Brazilian Beauty, Peter Pepper, Lingua di fuoco, Atzeco, Andino, Yucatan, Caribbean Red, El fuego caliente, e tanti altri, anche incrociati sul posto,  ognuno con il suo valore di piccantezza determinato entro una scala denominata Scoville (SHU, Scoville Heat Units) 

Con degli azzeccati aggiustamenti siamo riusciti comunque ad ottimizzare nell’arco delle due ultime stagioni quei parametri condizionanti quasi del tutto l’esito finale della coltivazione, se escludiamo grandine ed eventi atmosferici dai quali non era, nell’immediato almeno,  possibile difendersi, e ne abbiamo fatto le spese il primo anno, dal primo fondamentale aumento delle normali  doti organiche del suolo , incolto e abbandonato da diverso tempo, grossolano e ricco di scheletro, riattivandolo anche biologicamente con accorgimenti dedicati e ripresi dalla moderna tecnologia, alla correzione dell’acidità dello stesso, per poi assecondarne le esigenze via via manifeste  nel corso della stagione vegetativa con mirati interventi fogliari e radicali ma senza mai dover ricorrere ad agrofarmaci di sintesi, sfruttando bensì i naturali meccanismi di bioresistenza e autodifesa intrinsechi alla pianta e ancora di più alla Spp. in oggetto e, laddove necessario o solo sulle varietà bisognose , indotte  con opportune pratiche nutrizionali . 

Il futuro sembra continuare a prospettare soluzioni e sbocchi nuovi. Sono arrivati per ultimi il “paneroncino” e il cioccolato piccante ma è soprattutto l’interesse destato in molti potenziali coltivatori che fa ben sperare, appassionati che provano a coltivare il peperoncino partendo da pochi metri quadrati e seguendo un altrettanto esiguo  ma necessario numero di semplici regole che l’Associazione ha deciso di condensare in una sorta di protocollo di coltivazione.

E conforta di pari passo   la positiva risposta che il mercato ha riservato sia al prodotto fresco che ai derivati dalla trasformazione dello stesso, dalla polvere secca alle salse con vino e/o aceto, piuttosto appunto che squisite tavolette di cioccolato frutto della collaborazione con l’industria dolciaria Cisa e il “Paneroncino”, creato dagli allievi della scuola alberghiera di Rovereto. Il che fa ben sperare anche nella riuscita di altre iniziative e prodotti che l’Associazione Peperoncino Trentino , che cura lo sviluppo del prodotto e la promozione e conoscenza dello stesso, tiene in serbo per il futuro .

Si sono stabiliti anche legami prima di oggi impensabili con altre realtà anche culturali che vanno dal Nordafrica all’Oriente, dal Sudamerica alla Calabria fino alla settentrionale Norvegia  che, a partire dal seme per arrivare alla cucina, hanno costituito un banco di prova e confronto tra usanze culinarie di Paesi tra di loro molto diversi ma disposti a mettersi in gioco ritrovando grazie al peperoncino un pezzo delle loro terre di origine.  Senza dimenticare il coinvolgimento di cuochi, ristoratori locali, aziende di trasformazione, dalla filiera del latte a quella dei cereali, dai produttori di  vino lagarini agli olivicoltori altogardesani, ognuno per propria competenza interessati a proporre o interloquire, a volte solo mettersi alla prova, in favore di  un‘alternativa salubre, locale, di gradazione, intensità e sapore  diversi rispetto ai condimenti tradizionali ai quali siamo storicamente legati,  qui riproposti in chiave piccante quanto basta soddisfare le richieste di tanti, senza sfalsare, pronti  ad esaltare invece ancora di più quelle peculiarità che le nostre zone, il Trentino in particolare, offrono grazie al clima, all’escursione termica dei mesi autunnali, alla quota, ma anche, non dimentichiamolo,  all’impegno e alla tenacia di coloro che hanno creduto nel peperoncino come  alternativa possibile, di nicchia, alle grandi monocolture industriali, a favore della biodiversità.

antonio.girardelli@tin.it      per la parte tecnico agronomica della coltivazione ;
www.facebook.com/Peperoncino-Trentino  ;
dezanghi@hotmail.com      per contattare l'Associazione e le relazioni commerciali ;
www.peperoncinotrentino.it   per seguirne le evoluzioni sul Web ;
Tel.  00393342980671

Tematiche: Ambiente


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