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La globalizzazione influenza le economie di tutto il mondo, ha prodotto vincitori e perdenti e generato un grande numero di persone che ha il timore di essere lasciato indietro. Da molti è percepita come una minaccia: il 45% degli intervistati di 28 Paesi dell'Europa lo ha confermato, ritenendo, fra l'altro di avere una prospettiva economica peggiore del passato. Anche la massiccia immigrazione in alcuni Paesi ha creato molta insicurezza fra chi si sente coinvolto, a causa dell'arrivo di manodopera poco qualificata, da un possibile squilibrio nel mercato del lavoro a livello locale.
Un altro fattore interessante è il vertiginoso aumento dell'importazione di merci da Paesi a basso reddito, che ha avuto molto più impatto, secondo gli studi di settore, rispetto agli altri due fenomeni appena accennati. Ad esempio, il cosiddetto "shock cinese", è la causa di un quarto del crollo del manifatturiero statunitense ed ha avuto gravi conseguenze anche in Europa. L'effetto marcato sui risultati di voto è stato analizzato, riferito alla media su 118 tornate elettorali: sui 16 Paesi dell'Europa occidentale i partiti socialdemocratici sono passati dal 35% al 22%, con una perdita ancora più significativa rispetto all'aumento dei voti di destra (dal 2,5 al 10%).
In un gruppo di Paesi definito secondo una nomenclatura statistica "NUTS 3" i socialdemocratici hanno perso 25 votanti, rispetto ai 17 guadagnati dai partiti di destra. Le motivazioni sono ancora da approfondire, tenendo conto anche di variabili come la crescente diffusione dell'intelligenza artificiale nell'industria e il conseguente timore di perdita di posti di lavoro non qualificati, la difficoltà di non trovare compensazione alla stessa perdita di lavoro nel settore dei servizi, i conflitti interni ai gruppi politici nella gestione della globalizzazione. Se è possibile prospettare una soluzione a questi timori, per Zweimüller è certamente l'investimento nell'istruzione e nella formazione. Ma il cuore del problema del mercato del lavoro, ha detto l'economista svizzero, non è che non si trovino lavoratori specializzati da impiegare nell'industria (200 mila posizioni solo in Italia, ad esempio), piuttosto che molti lavoratori qualificati non riescano a trovare un lavoro adeguato alla propria formazione.