Vediamo innanzitutto che cos'è l'egame, o esport (la questione della definizione non è banale, perché presuppone naturalmente un appproccio diverso al fenomeno) nella sua versione competitiva, e in cosa si distingue dalle solitarie partite di videogiochi che si giocavano al bar anche 40 anni fa. Parliamo innanzitutto di eventi che coniugano spettacolo, competizione e tecnologia. Ma soprattutto parliamo soprattutto di competizioni, di campionati e tornei, eventi giocati su vari tipi di piattaforme elettroniche che possono essere organizzati dalle stesse società che sviluppano i videogiochi o da soggetti terzi. I tornei possono avere luogo anche in grandi arene, palasport o altro, opportunamente attrezzate, ma vengono diffusi, e seguiti, principalmente su piattaforme streaming. Le competizioni spesso sono giocate da squadre che hanno team manager e coach. Non solo: generano dei divi, degli heroes, mentre nel mondo dei videogame "da salotto" le star sono al massimo gli sviluppatori. Le principali piattaforme dell'egame sono twitch, youtube, facebook gaming, mixer, caffeine, e, fanalino di coda, la tv tradizionale. L’industria dell’esport è in continua evoluzione e offre anche molte opportunità professionali. Non solo: attira sempre di più gli sponsor, soprattutto quelli che non sanno più come raggiungere il pubblico dei giovanissimi, che ormai si tiene alla larga dai media tradizionali e persino dai social network come Facebook.
Le prospettive per il futuro sono diverse. Ci si attende ad esempio un'espansione geografica delle leghe e delle federazioni, una crescita delle sponsorizzazioni extra-settore, ma anche una maggiore attenzione ai temi della responsabilità: etica, manageriale e così via. Ed ancora: il mondo dei videogiochi competitivi ha bisogno di una maggiore legittimazione. E qui entra in ballo naturalmente il rapporto con il mondo sportivo "tradizionale", con le diverse federazioni e con lo stesso Comitato olimpico. Che chiede, lo ha detto chiaramente Ferriani, maggiori regole, e un interlocutore a cui rapportarsi. "Non c’è una normativa specifica per l’esport, è vero. Ma esistono norme generali che ovviamente si applicano anche all’esport", ha replicato Giorgetti. La Fifa dal canto suo ha iniziato ad avviare un programma di digitalizzazione. Attualmente solo una ventina di federazioni su oltre 200 partecipano alle competizioni, ma l’esport abbatte le barriere. Ad esempio, quelle geografiche: se nello sport tradizionale sono quasi sempre squadre occidentali a vincere, nell’esport anche i team asiatici o africani hanno delle ottime chance.
Ci sono poi anche altre questioni aperte, le stesse che il mondo sportivo affronta da tempo, con risultati alterni. Il doping, le scommesse, i premi in denaro. Che il mondo dell'egame voglia sottostare a regole troppo strette è in dubbio, anche perché la sua crescita dimostra che potrebbe "fare da sé". Sull'altro versante, il mondo sportivo è interessato ad aprirsi, ma non a tutti i costi, e in ogni modo, per il Cio parlare di esport oggi è un'eresia, mentre sull'egame si può discutere. Ma i due mondi non si guardano in cagnesco. Hanno entrambi maggiore interesse a dialogare e a collaborare. Se son rose, o erose, fioriranno.