Venerdì, 18 Maggio 2012 - 02:00 Comunicato 1318

Ieri pomeriggio l'incontro pubblico alla sala conferenze della Fondazione CARITRO
"UNA O PIÙ PATRIE? TRA ESILIO E APPARTENENZE", SE NE E' PARLATO CON DAVID GERBI NELL'AMBITO DI "OFFICINA MEDIO ORIENTE"

L'esperienza della diaspora e dell'esilio, il rapporto tra identità nazionale e stato, la compresenza di varie patrie e varie identità: è partita da questi aspetti comuni a molte popolazioni l'analisi dello psicologo e psicoterapeuta David Gerbi, nato in Libia da una famiglia ebraica e oggi cittadino italiano, ospite principale nell'incontro pubblico organizzato ieri pomeriggio presso la sala conferenze della Fondazione CARITRO nell'ambito di "Officina Medio Oriente".-

" Grazie a tutti voi per l'impegno che mettete in prima persona a favore di un dialogo così difficile ma così importante": l'assessore provinciale alla solidarietà internazionale e alla convivenza Lia Giovanazzi Beltrami ha salutato così i relatori, in apertura dell'incontro.
" Mi piace molto - ha detto David Gerbi - l'idea dell'officina come un luogo dove su fa un lavoro pratico per il Medio Oriente" . Il lungo viaggio nella sua esperienza di vita personale e familiare ha fatto da sfondo a riflessioni profonde sul senso dell'appartenenza ad una nazione, sul concetto di patria, sui conflitti di questi ultimi anni e sull'essere profugo e sentirsi senza radici. La storia recente della Libia e il rapporto tra ebrei e mussulmani nel paese si intrecciano, nel racconto, con le origini e la storia della sua famiglia e con i legami di parentela persi e ritrovati.
David Gerbi ha raccontato il suo attivismo per la pace e il dialogo, i rischi pesantissimi corsi a più riprese, le partenze e i ritorni in Libia fino al 2011 con il lavoro a Bengasi all'ospedale psichiatrico e l'impegno per la riconciliazione nel nuovo paese del dopo Gheddafi.
" Dalla mia esperienza di vita - ha detto Gerbi - ho imparato che davanti alle difficoltà posso avere paura, provare smarrimento, indecisione, posso combattere ma posso anche essere salvato dalla dimensione spirituale, dalla fede. Le motivazioni che mi hanno spinto nel mio impegno per la pace e il dialogo sono di natura etica, sono basate sul senso di giustizia, ma sono anche legate alla speranza concreta che le cose possano cambiare. Se oggi mi si chiede quale e' il mio paese, la mia casa, e quale la mia famiglia, penso alla terra e a tutti gli esseri umani".
L'incontro, introdotto da Erica Mondini e a cui sono intervenuti anche Micaela Bertoldi e Michele Nardelli, ha offerto l'occasione per parlare di quanto sia cambiato il mondo, dell'interazione tra le culture, di pace, di conflitti, di esilio, di appartenenza e di convivenza, partendo dal fenomeno delle migrazioni, dalle primavere arabe, dall'ancora irrisolta questione palestinese.
" E' davvero incredibile - ha detto Nardelli - la superficialità con cui guardiamo agli avvenimenti. La primavera araba, ancora in corso, l'abbiamo già archiviata perché fin dal primo momento abbiamo fatto fatica ad interrogarci sui messaggi che venivano da questo fenomeno. Noi usciamo dai conflitti senza aver compreso fino in fondo il loro significato. Se non riusciremo ad elaborare le grandi tragedie del secolo scorso non riusciremo ad elaborare il '900 stesso. Durante il '900 sono morte in guerra più persone che nei diciannove secoli precedenti. Continuiamo ad ignorare il delirio del '900. Non abbiamo riflettuto nemmeno sugli anni '90, sulla tragedia dei Balcani ".Bisogna interrogarsi, ha detto ancora Nardelli, sul perché manchi la capacita di approfondire, di conoscere, di capire e interrogarsi, di scavare dentro i conflitti facendosi anche attraversare dal dolore. Elaborare i conflitti, ha detto, significa predisporsi a tradire, mettersi nei panni dell'altro. Questo potrebbe essere preso come appunto tradire la propria appartenenza, potrebbe non essere capito. Se vogliamo affrontare la storia e le sue tragedie, ha sottolineato, dobbiamo smetterla di intrupparci e di serrare i ranghi perché c'è bisogno invece di sguardi "infedeli". Non si tratta di rinnegare la propria storia ma sapere che le culture danno il massimo di sè quando l'identità si incrina. Tradire vuol dire anche stare sul confine, dove le cose si incontrano.

Immagini e foto a cura dell'Ufficio Stampa
In allegato intervista audio a Nardelli
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