
L’educazione fisica nella scuola primaria può non risultare un’utopia ma attualmente è una materia ancora del tutto incompiuta. Così come non risulta pervenuto nei programmi didattici il tema della “dual career”.
Insomma la situazione non appare rosea e al Festival dello sport è arrivata la puntuale conferma, anche se il ministro dell’Istruzione non dispera e promette di lavorarci. Non è un caso che la scuola, in generale, abbia avuto una riforma solo dopo 80 anni, dalla riforma Gentile del 1923 alla riforma Moratti del 2003. Nel mezzo e dopo il 2003 poco o nulla è stato fatto per coniugare talento scolastico e talento sportivo.
“Il mio primo obiettivo - esordisce il ministro - è di inserire insegnati di educazione fisica all’interno della scuola primaria, perché l’attività motoria ha rilevanza fondamentale. Lo sport concorre a formare il ragazzo, non solo nel fisico ma anche nella cultura. Chi pratica sport a livello agonistico spesso è anche un ottimo studente perché la pratica sportiva forma la persona alla fatica, agli allenamenti, al rispetto e ai risultati”.
L’entrata a ruolo degli insegnanti - è sempre il ministro a sostenerlo - non è (solo) un problema di costi bensì di reclutamento: “E’ questo dipenderà dalla capacità del nostro Governo”. Così come va superato il presunto dualismo tra scuola e sport: “Fino ad oggi il Coni ha cercato di tamponare le carenze dentro la scuola, senza mai invadere il settore”. Sport e scuola in questi anni sono complementari ma è tempo che la scuola faccia la propria parte perché ad essa è chiesto di formare le nuove generazioni.
Se il ministro si è detto scettico sui licei sportivi (“Non sono scuole per atleti, ma scuole per professioni che in qualche modo hanno a che fare con lo sport”), non ha rinunciato al suo progetto di creare in giro per la Penisola scuole di eccellenza capaci di ospitare i migliori talenti sportivi e concorrere alla loro formazione nella maniera migliore.
L’ambiente migliore dove crescere se l’è cercato da solo Niccolò Campriani. Per lui i testi di scuola sono stati i migliori compagni di trasferta, tra una gara e l’altra, quando era studente di scuola primaria e superiore: “Semplicemente volevo dimostrare che un bravo atleta, di qualsiasi specialità, poteva essere anche un ottimo studente”.
I problemi per lui sono arrivati, dopo le prime mediale olimpiche, ai tempi dell’università quando si è scontrato con la rigidità di docenti che non concepivano di modulare le date dei suoi esami sulla base degli impegni internazionali. “La svolta - racconta - è arrivata nel 2009 quando mi è stata offerta la borsa di studio in un’università americana (West Virginia University di Morgantown, ndr.). Il primo giorno ho incontrato il mio advisor e con lui abbiamo programmato il giorno della mia laurea (settembre 2011) e, a ritroso, gli esami con il programma delle competizioni internazionali, Olimpiadi comprese. L’esperienza mi ha cambiato, come persona e come sportivo”. I risultati sono arrivati, con il trionfo dell’oro di Londra. “Un ragazzo - ha concluso il campione olimpico - ha bisogno di strutture ma anche di obiettivi e di persone che lo aiutino a centrare tutti gli obiettivi, che non sono solo quelli sportivi. Poi spetta al ragazzo fare delle scelte e far sì che la sua vita rispecchi il suo reale valore. Lo sport è la tua cartina tornasole: puoi barare con te stesso e con gli altri ma quando sei all’ultimo tiro di un’Olimpiade, con il battito del cuore fuori controllo e devi centrare quel pallino nero, non hai più alibi. E quel momento non lo improvvisi”.