Sergio Romano, storico, già ambasciatore alla Nato e a Mosca e con esperienze di insegnamento in varie Università in Italia e all'estero, ha ripercorso la complessa vicenda dei rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, dalla breccia di Porta di Pia, che sancì l'annessione di Roma al Regno d'Italia - definita "una data europea perché limitò il potere del pontefice" - ai Patti Lateranensi del 1929, ovvero alla conciliazione fra Stato e Chiesa.
Poi due fatti, nell'arco di un anno di tempo, cambiarono bruscamente lo scenario: "La sconfitta di Mussolini con la fine della guerra e quella della monarchia con il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, eliminarono i due concorrenti che avevano conteso al papato il potere - ha commentato Romano -. Nel vuoto che rimase la Chiesa divenne, ancora più del Comitato di Liberazione Nazionale, il vero potere. E se negli anni del Fascismo aveva accettato il regime, non aveva mai smesso di preparare la propria classe dirigente. La democrazia cristiana non ricevette solo il voto dei cattolici, ma anche quello dell'Italia laica e moderata che aveva paura di entrare nell'orbita sovietica, di questo Alcide Degasperi se ne rese contro".
Romano ha poi ricordato la revisione del Concordato del 1984 "che portò all'8 per mille alla Chiesa cattolica" e Tangentopoli: "Con la disintegrazione della democrazia cristiana la Chiesa divenne libera, questo significò che i cattolici potevano essere sparsi nell'arena politica italiana e non più concentrati in un solo partito".
In sostanza: "La Chiesa, nel momento in cui il sistema politica italiano è entrato in crisi, è diventata più potente. Basti pensare che il presidente della conferenza episcopale potè suggerire ai cattolici di non andare alle urne per non far raggiungere il quorum al referendum sulla procreazione assistita. La conferenza episcopale è quella che io chiamo la terza camera italiana".
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