Il premio è stato consegnato nei giorni scorsi a Ravello, presso la sede del Centro Universitario Europeo, a Villa Rufolo, da Alfonso Andria presidente del Centro, a Franco Nicolis direttore dell'Ufficio beni archeologici provinciale, nell’ambito della 14esima edizione dei Colloqui Internazionali di Ravello Lab. Il riconoscimento intende sottolineare il ruolo del patrimonio culturale quale leva strategica ed irrinunciabile per lo sviluppo dei territori e la crescita della comunità e promuovere la conoscenza e lo scambio di buone prassi di valorizzazione. Questa la motivazione con cui la commissione internazionale ha attribuito il premio al progetto trentino: “La scelta di celebrare il centenario della fine della Grande Guerra attraverso il recupero di una memoria negletta è indice di particolare sensibilità umana e culturale. Il 2018, denso di avvenimenti relativi all’Anno Europeo del Patrimonio Culturale, ha dedicato adeguata attenzione – come doveroso – alla ricorrenza relativa all’evento bellico e alle sue drammatiche conseguenze. Attraverso varie iniziative con ampio coinvolgimento della comunità e del territorio, sono stati consegnati alla dignità della memoria collettiva fatti, episodi, narrazioni – apparentemente minuti – eppure meritevoli di occupare un posto di rilievo nella ‘microstoria’ locale e nazionale”.
Il Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali si prefigge di contribuire, in collegamento con gli organismi nazionali ed internazionali competenti, alla realizzazione di una politica dei beni culturali, sotto il profilo della formazione e specializzazione del personale, della deontologia professionale e della consulenza scientifica, nonché della tutela, promozione e valorizzazione del patrimonio storico e artistico.
Il progetto “storie senza Storia”
A cento anni dalla conclusione della Prima guerra mondiale nella mostra “storie senza Storia. Tracce di uomini in guerra (1914-1918)” sono stati esposti al pubblico i materiali messi in luce tra il 2012 e il 2017 negli interventi di recupero, condotti con metodo archeologico, di resti di soldati della Grande Guerra sul ghiacciaio del Presena e alle pendici occidentali del Corno di Cavento nel Gruppo dell'Adamello.Resti e strutture del primo conflitto mondiale sonori affiorati, a oltre 3000 metri di altitudine, a seguito dei cambiamenti climatici degli ultimi anni. A riportarli alla luce e a restituirli alla memoria collettiva è stato il delicato lavoro di équipe multidisciplinari composte da archeologi, geologi, guide alpine, restauratori. La mostra ha inteso essere un omaggio a tutti gli uomini che si sono trovati a vivere loro malgrado questo tragico capitolo della Storia. I materiali esposti erano riferibili al vestiario e alla dotazione militare di due alpini dell’esercito italiano e alle uniformi di due soldati dei reparti di artiglieria dell’esercito austro-ungarico. Grazie alle tecniche di conservazione e di restauro messe in atto dalla Soprintendenza per i beni culturali, è stato possibile riconoscere il nome di uno dei due italiani, il soldato Rodolfo Beretta nato a Besana in Brianza il 13 maggio 1886 e deceduto per caduta di valanga l’8 novembre 1916. I resti del caduto Beretta sono stati restituiti alla famiglia nel corso di una cerimonia a cura del Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti, ente del Ministero della Difesa, e tumulati nella città natia nello scorso novembre.
Nella foto la consegna del premio da parte del presidente del Centro Universitario Europeo Alfonso Andria a Franco Nicolis direttore dell’Ufficio beni archeologici PAT
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