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"La globalizzazione è frutto delle scelte degli Stati. I duemila regimi di negoziazione internazionale sono lì a dimostrarlo». Sabino Cassese, noto costituzionalista, politologo, editorialista, non è ricorso a infingimenti alla prima serata del Festival, in un teatro sociale affollato dal «popolo dello scoiattolo» curioso di ascoltare le riflessioni a 360 gradi del professore. Che ha tracciato una inevitabilità della globalizzazione, dato che un singolo Stato non può affrontare i cambiamenti climatici, gli Stati Uniti da soli non possono pensare di fronteggiare un terrorismo diventato – appunto – globale. L’Unione Europea è un necessario condominio più vasto. Per Cassese funziona addirittura meglio degli Stati Uniti: «I Paesi europei condividono una certa concezione della vita, rifiutando la pena di morte. Gli Stati Uniti, su questo, sono divisi".
A più riprese il professor Cassese si è dichiarato apertamente ottimista, senza negare i problemi. L’Europa ha, ad esempio, due anime: una intergovernativa e una strettamente comunitaria. Se è lite e popolo sono oggi messi in contrapposizione, poi, è perché ad essere in forte crisi sono i partiti; negli anni Cinquanta, con dieci milioni di abitanti in meno, in Italia gli iscritti ai partiti erano otto volte tanti rispetto a quelli di oggi. Erano i partiti a tenere i rapporti tra Stato e società, tra palazzo e piazza, tra Stato legale e stato reale.
Cassese guarda con ottimismo al fatto che l’8% di cittadini che partecipa attivamente alla politica possa avvicinarsi almeno un po’ al 70% che lo fa passivamente. Ma vanno offerte idealità politiche. Insomma, «c’è l’humus, ma mancano le sementi». Ragionamento, infine, sul futuro e sulla politica nel web. Per Cassese i governi oggi indicano preferibilmente i pericoli, alimentano le paure (anche infondate: sicurezza, immigrazione, a dispetto di dati non preoccupanti) e non stimolano le speranze. Il futuro una volta era migliore, oggi non c’è. Soprattutto in Italia, la politica ci convince di vivere in un Paese peggiore di quello che è. «Sul web auspico – ha concluso il professore – che non si manifesti nessuna censura pubblica e non abbia spazio l’intolleranza privata. Certo, servono gli anticorpi per capire cosa è vero. All’opinione pubblica, su web e social, i politici dicono ciò che vuole sentirsi dire e lanciano slogan intorno ai quali coagulare il consenso. È un dialogo superficiale. Il Movimento 5 stelle è emblema di un paradosso: invoca il popolo tutti i giorni e poi a decidere è una platea ristrettissima sulla piattaforma Rousseau".