Nonostante l'opinione favorevole dell'OCSE, del FMI e della Commissione Europea infatti, il contratto unico non rappresenta una soluzione politicamente vantaggiosa né per i datori di lavoro né per i sindacati. I primi infatti traggono vantaggio dai contratti a tempo determinato che garantiscono flessibilità e possibilità di licenziare a basso costo, mentre i sindacati – che proteggono principalmente gli interessi dei lavoratori a tempo indeterminato – si troverebbero col contratto unico a fronteggiare un peggioramento della posizione dei lavoratori fissi (che al momento godono di un minor indice di licenziabilità e di un maggior potere contrattuale sugli aumenti salariali). Ma l'alternativa non è conveniente nemmeno a livello politico: un governo che decidesse di investire sul contratto unico si troverebbe a beneficiare maggiormente i giovani, vale a dire una forza elettorale decisamente minoritaria.
Attualmente sono presenti più alternative di contratto unico. Bentolila ha illustrato per prima quella ipotizzata nel 2007 da Tito Boeri e Pietro Garibaldi, che a una fase iniziale di inserimento di 3 anni (durante la quale il licenziamento avviene dietro forti compensazioni monetarie a fine rapporto) fa seguire una fase di stabilità paragonabile agli attuali contratti a tempo indeterminato. Una seconda ipotesi è invece quella del contratto unico a stabilità crescente, proposta in Spagna nel 2009 da cento economisti per sostenere contemporaneamente la sicurezza economica e professionale del lavoratore e la richiesta di flessibilità da parte dei datori di lavoro. Non mancano però altre proposte (come quelle di Blanchard e Tirole e di Cahuc e Kramarz in Francia), rendendo ancora più evidente che la mancata attuazione di queste riforme non è dovuta alla scarsità delle alternative, ma ha motivazioni strettamente politiche.
Contestualmente, Bentolila ha descritto ampiamente la situazione dei giovani in Italia e Spagna, sottolineando come l'altissima percentuale di contratti a termine ha provocato, negli anni, un innalzamento dell'instabilità lavorativa e, di conseguenza, del tasso di disoccupazione che (al momento in Spagna, l'indice sfiora il 52%). E' attorno a questa circostanza che ruotano le altre criticità dei giovani, e non viceversa: l'indipendenza dai genitori, il tasso di istruzione e il livello medio dei risultati accademici, la possibilità o meno di creare una famiglia e altri fattori, sono tutti originati dall'instabilità lavorativa e dall'impossibilità di crescere professionalmente. L'attuale sistema con due contratti però è legato a doppio filo anche alla regolamentazione a cui sono soggette le imprese, che fa variare – e di molto – le strategie aziendali in materia di gestione delle risorse umane.
In conclusione, la prospettiva più inquietante all'immobilismo della politica è la nascita di una nuova lost generation, espressione coniata nella Spagna degli anni Ottanta e del Giappone degli anni Novanta per indicare quei giovani che a seguito della disoccupazione perdono l'entusiamo necessario al rilancio delle imprese. Al momento, ha commentato Bentolila, la percentuale di NEET in Italia e Spagna oscilla fra il 18 e il 20% fra i giovani, con conseguenze che nel lungo periodo inaridirebbero la crescita e renderebbero insostenibile il modello di welfare mediterraneo. "Queste tendenze – ha concluso il professore – non si placheranno, perché sono apparentemente inarrestabili e dipendono da forze globali". Dalla capacità di gestione della globalizzazione e dei progressi tecnologici dipende quindi la società del futuro, che chiede una politica intelligente per fornire risposte valide a livello di istruzione e educazione, di uniformità nella stabilità del lavoro, di gestione dei flussi migratori e di incentivo a politiche di mercato attive.
"Dal 1995 la Germania è cresciuta quasi del 10% in termini di produttività. Spagna e Italia invece oscillano fra il -4% e il -7% rispetto allo stesso anno. La vera sfida – ha concluso il professore – è rilanciare la produttività attraverso l'istruzione e il lavoro, dal momento che è l'unico fattore che influisce direttamente sulla qualità della vita".
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