Le linee guida nazionali ed europee dicono che sotto i 40 anni non sono necessari controlli strumentali con la mammografia. Ciò non significa che in questa fascia di età possiamo essere disattenti ai cambiamenti o ai sintomi della mammella; significa invece che si possiedono altri strumenti per orientare e produrre una diagnosi.
A 20 anni l’autopalpazione mensile è una buona abitudine e consente di conoscere la struttura della propria mammella e di individuare precocemente eventuali alterazioni da segnalare al medico di famiglia.
A 30-40 anni in aggiunta all’autopalpazione mensile si può eseguire l’esame ecografico biennale che consente di esplorare il tessuto ghiandolare con ultrasuoni. Nelle donne più giovani, in cui il tessuto ghiandolare è più denso, i risultati dell’ecografia offrono maggiori informazioni.
A 40-50 anni l’esame radiologico che fornisce maggiori informazioni è la mammografia. Può essere necessario che il radiologo consigli un intervallo diversificato in relazione alla densità mammografica, cioè in relazione alla distribuzione della componente ghiandolare che rende il tessuto mammario più o meno denso. Esistono quattro tipi di densità ghiandolare e ciascuno possiede la sua.
A 50-70 anni l’esame di eccellenza è la mammografia, perché questa è fascia di età più a rischio per lo sviluppo dei tumori della mammella tanto da richiedere uno screening organizzato.
A 71 anni e oltre, le linee guida prevedono una mammografia ogni tre anni.
Il rischio di ammalarsi di carcinoma della mammella aumenta con l’aumentare dell’età, con una probabilità di sviluppo di cancro al seno del 2,4% fino a 49 anni (1 donna su 40), del 5,5% tra 50 e 69 anni (1 donna su 20) e del 4,7% tra 70 e 84 anni (1 donna su 25). Pur essendo un tumore molto diffuso, grazie ai progressi della tecnologia oggi è possibile intervenire nel processo di sviluppo di un tumore facendo diagnosi precoce, quando la malattia non ha dato ancora segni clinici e questo consente una maggiore possibilità di cura e una migliore qualità di vita.