Simona Quadarella, simpatica e piacente ventunenne romana (e romanista) non era una predestinata e all’oro mondiale, che ha conquistato quest’anno, è arrivata davvero con una smisurata forza di volontà. La mamma la chiamava “gnappets”, per papà era invece “veleno” e certo l’acqua le è sempre stata simpatica, tant’è che quando la ginnastica artistica provò a farle qualche “avance”, lei rispose sdegnata attaccandosi ancora di più al primo amore: il nuoto.
Ma «Il mio spazio blu», il libro scritto per Rizzoli con Lorenza Bernardi, fa capire che il percorso non è stato privo difficoltà. Sin da quando, sui banchi di scuola, Simona non ancora “Supersimo”, a volte si addormentava cercando di mettere insieme studi e vasche, con qualche professore che considerava la sua attività sportiva un’antipatica ed evitabile deviazione.
Citando a più riprese il suo allenatore, Christian Minotti, Simona ha raccontato la sua storia sin dall’inizio, dalle bracciate del nonno verso l’Isolotto nel mare di Siracusa, proseguendo con il padre istruttore e la sorella Erica che per lei ha rappresentato l’esempio da emulare, a partire dalla piscina. Fino alla “squadra” dell’Aniene, alle “prolusioni” dell’allenatore e alle sue “punizioni” molto originali, una volta persino a base di…bowling. Nel libro che racconta la storia di Simona Quadarella si mischiano dunque talento e semplicità: una ragazza normale che fa cose straordinarie. E non vuole smettere. Il prossimo capitolo da scrivere (e prima da nuotare) si chiama Tokyo 2020 dove però sarà ancora ad attenderla quella Katie Ledecky che in Corea le ha impedito di ottenere una fantastica doppietta conquistando il successo, oltre che nei 1500 anche negli 800.