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Dopo l’introduzione della giornalista Simonetta Nardin, già capo ufficio stampa del Fondo Monetario Internazionale, Helpman, basandosi sul suo ultimo libro dedicato al commercio internazionale “Globalizzazione e disuguaglianze”, ha spiegato che ci sono state due ondate di globalizzazione: la prima a inizio ‘900 e la seconda dopo il 1998. “Entrambe sono collegate a una crescita del reddito procapite. All’inizio del secolo scorso le disuguaglianze sono aumentate, ma il grande balzo è legato al gap tra Paesi ricchi e Paesi poveri più che alle disuguaglianze interne. Lo dimostra il fatto che nel 1981 avevamo 2 miliardi di persone che vivevano in estrema povertà, numero sceso a 600 milioni nei nostri anni”.
Tra gli studi citati, Helpman si è concentrato anche sul Brasile (Kovac-2013) dove è stato scoperto che la globalizzazione in realtà ha ridotto le disparità di salario regionali, anche se l’impatto è stato ridotto. “Dal punto di vista spaziale è stata una forza equalizzatrice, ha ridotto il gap tra lavoratori qualificati e non”.
Nella seconda parte della sua presentazione, l’economista si è concentrato sul ruolo del “China shock”, ovvero la crescita di Pechino nell’economia mondiale, e sui suoi effetti sulle disuguaglianze. “È vero che negli USA esso ha ridotto il guadagno medio settimanale, ma gli effetti maggiori sono stati riscontrati nel non-manufacturing, quindi in un settore che non era in competizione”. “Non è facile dimostrare che la Cina è la causa principale del declino della produzione americana, va tenuto conto anche di come funziona il mercato del lavoro”.
La conclusione di Helpman è che il commercio internazionale non è il maggior driver di disuguaglianze nel mondo.
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