La carriera di Stéphane Peterhansel è iniziata su uno skateboard ed è poi continuata sulle moto ma è sulle quattro ruote che il francese ha trovato la sua espressione migliore. Così come tanti sono anche i soprannomi che ha collezionato in trentadue partecipazioni al Rally Dakar, lo storico raid africano ideato alla fine degli anni Settanta dal compianto Thierry Sabine: Monsieur Dakar, re del deserto, principe delle dune. In effetti è dominatore assoluto di questi luoghi così meravigliosi, ma certo non facili per l’uomo. L’uomo delle sfide ha un’esperienza così ricca e completa, che sa esattamente come mantenere la calma quando il brivido sale e il calore si fa torrido. Ha una sconcertante precisione in ogni tappa e su ogni ostacolo.
“Velocità, magnifici paesaggi, resistenza, strategie: la Dakar contiene tutto questo ed è il motivo per cui me ne sono innamorato fin da subito. Non mi sono più fermato. Ogni chilometro è nuovo, diverso, nuove curve, nuove piste e nuove possibilità. Questa è la mia passione” - ha spiegato il pilota - “La sfida che ora mi attende è altrettanto stimolante, ovvero affrontare con una vettura evoluta ed elettrificata la gara che più al mondo ha a che fare con la natura”. La Dakar è infatti una corsa lunga e di esperienza, che richiede molta energia e con tappe lunghissime e senza sosta: difficile portarvi lo sviluppo tecnologico. Ma la proposta di Audi lo ha subito entusiasmato. Il prossimo anno il 56enne di Échenoz-la-Méline si calerà nell’abitacolo della Audi RS Q e-Tron, vettura ibrida che a tre motori elettrici derivati dalla monoposto e-tron FE07 di Formula E abbina in qualità di generatore di energia di bordo il quattro cilindri 2.0 Tfsi benzina utilizzato nel Dtm.
Tra l’altro, anche la moglie Andrea Mayer, ex pilota motociclistica nonché sua copilota, la conosce bene la Dakar. Ma nella prossima edizione della corsa, dal 2 al 14 gennaio 2022 in Arabia Saudita, non sarà lei ad affiancarlo. Oltre al francese, il “dream team” Audi schiera anche lo spagnolo due volte campione del mondo di rally (e tre volte vincitore della Dakar) Carlos Sainz, e il campione svedese del DTM Mattias Ekström.
Come si fa a preparare una corsa come la Dakar? “Bisogna avere la migliore macchina possibile, e fare un accuratissimo lavoro di sviluppo anzitempo su tutta la meccanica. - spiega Stéphane - Poi c’è la preparazione fisica che dev’essere al top, bisogna allenare la resistenza ma anche la concentrazione. E inoltre, calibrare sempre più la lettura dei percorsi per interpretare i rischi della terra e le sfumature della sabbia, padroneggiare le carte perché pianificare è una questione di sopravvivenza. La fatica sulle due ruote è decisamente maggiore che non in auto (con anche il co-pilota), tantoché mi capita una volta finita la gara di dormire quasi ininterrottamente per quindici giorni, quindici ore a notte”.
Stéphane Peterhansel, a soli 16 anni, all’esordio sulle due ruote, vince il primo di dieci campionati francesi in enduro. Debutta alla sua prima Parigi-Dakar nel 1988, e la vince per la prima volta nel 1991, inanellando altri cinque successi da lì al 1998, tutti a bordo di moto Yamaha. Nel 2004, tre anni dopo essersi laureato per la seconda volta Campione del Mondo di enduro – il primo titolo lo aveva vinto nel 1997 – vince anche sulle quattro ruote, al volante della Mitsubishi Pajero, che porterà sul gradino più alto anche nel 2005 e nel 2007. Qualche anno più tardi Stephane conquista altre due doppiette in quella che è considerata la Regina di tutti i raid, una con Mini (2012-2013) e l’altra con Peugeot (2016-2017). Poi il passaggio alla squadra Peugeot-Total per la Dakar 2015. Ma la sfida più eccitante è ancora tutta da giocare.