
Tra il V e il VI secolo la comparsa nel territorio alpino di abitati fortificati su alture e luoghi in posizione elevata è un fatto ben documentato dall’archeologia. A determinarlo sono state necessità d’ordine strategico-militare e di sicurezza della popolazione di fronte a condizioni di guerra e d’invasione con le Alpi chiamate ad assumere un ruolo di frontiera e di sbarramento nell’ultimo tentativo di proteggere l’Italia dalle incursioni che dilagano dall’Europa settentrionale e orientale. L’incontro di Monaco mira a realizzare una tavola rotonda tra specialisti di diverse regioni alpine, dalla Val d’Aosta alla Slovenia, dalla Croazia balcanica alla Baviera. Lo scopo è quello di collegare le esperienze di ricerca in corso su un tema chiave della transizione tra antichità e medioevo e indicare nuovi indirizzi per la sua conoscenza.
Tra le fortezze alpine più significative e di più recente scoperta, è il monte di San Martino. Un luogo isolato del Lomaso sulla montagna che separa le Giudicarie dal lago di Garda, ad un’altitudine di quasi 1.000 metri, difeso lungo i fianchi da verticali pareti di roccia che si alzano prive di vegetazione dal fondovalle rendendolo dominante e inavvicinabile. È uno dei maggiori esempi conservati di una fortezza tardoantica, fondata per ragioni strategiche negli anni in cui gli Unni di Attila stava devastando le valli a Nord delle Alpi e i Goti si stanziavano nei Balcani prima di passare in Italia sotto l’egida di Costantinopoli. Ordinata dalle autorità di governo romane, costruita secondo precisi accorgimenti militari con ingenti risorse e investimenti, era dotata di sbarramenti, mura di cinta, porte controllate da torri, utili apprestamenti e edifici interni. Straordinario il livello delle strutture abbandonate, estese su un’area di oltre 15.000 mq e frequentate per circa trecento anni da Romani, Goti, Longobardi e Franchi prima di essere completamente dimenticate dalla storia, venute meno le ragioni di un loro mantenimento.
Sul finire degli anni Novanta questo luogo è stato identificato e dal 2005 al 2015 è stato indagato con un piano di ricerca partecipata a cui hanno contribuito oltre 180 ricercatori tra studenti universitari, specializzandi e archeologi professionisti provenienti da 10 diversi Paesi europei (oltre ad Italia, Slovenia, Francia, Spagna, Germania, Austria, Slovacchia, Grecia, Svizzera e Polonia). Notevole anche l’impegno per conservare sul posto quanto è stato riportato in luce, con interventi sui ruderi e di ripristino ambientali che rendono questo luogo oggi mèta frequentata e ammirata da molti. A coordinare gli scavi è stato l’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento di concerto finanziario con il Comune di Comano Terme e la Commissione archeologica dell’Accademia delle Scienze della Baviera.
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