«Ignora, cancella, ignora, cancella». Il ritornello ossessivo e martellante accompagna lo spettatore nell’arco dei novanta minuti del film. Sono i cosiddetti «cleaners», gli spazzini del web. Persone che passano, per lavoro, spesso in società esterne e appaltate dagli «over the top» del mondo digitale, giornate intere a selezionare le immagini e i video che possono e non possono restare postate e pubblicate sui social network. Una mole impressionante di lavoro di selezione. Ogni operatore ne visiona fino a 25.000 al giorno, decidendo se lasciarle o rimuoverle con un clic dalla sua postazione. Un lavoro alienante ma necessario. Le linee guida dei cleaners vietano immagini di nudo, pornografiche, violente, lesive della dignità delle persone, di terrorismo, di sfruttamento minorile. Questi «spazzini del web», «moderatori di contenuti» – racconta il docu-film, che ha colpito dritto al cuore il pubblico – per contratto non possono rivelarsi, devono lavorare in incognito. In luoghi insospettabili, come i grattacieli di Manila, capitale delle Filippine.
Ma ci sono altri meccanismi spesso opachi che riguardano la rimozione di contenuti talvolta scomodi politicamente, di dissenso: i social media, portabandiera della libertà di espressione, diventano invece terreno di censura. I giganti del web, racconta ancora il docu-film, fanno inevitabilmente accordi con i singoli governi su cosa va rimosso dalle piattaforme social. E a farlo non provvedono solo algoritmi, ma anche persone in carne ed ossa, che si chiedono perché lo fanno e spesso, di fronte a tante immagini crude, vanno in «burnout», cedono psicologicamente. Facebook è il più grande Stato virtuale del mondo, con i suoi tre miliardi di utenti.
Su Youtube ogni minuto vengono caricati 500 minuti di filmati. Numeri che danno la misura della pervasività della società digitale, fatta di byte, spesso indistinta e più potente di quella reale, fatta di atomi.
Nel dibattito che ha arricchito la visione del docu-film, Piergiorgio Degli Esposti, docente universitario di Processi culturali della comunicazione a Bologna, ha sottolineato come siamo ormai immersi nella cosiddetta «società delle piattaforme». Apparentemente giardini incantati che ci permettono lussi e interazioni infinite. Più un club privato, però, che uno spazio pubblico come crediamo. «Quando un servizio è gratis, il prodotto sei tu, anche se ti illudi di essere il cliente» ha aggiunto Emanuela Zaccone, influencer, esperta di strategie digitali, che ha aggiunto: «Per anni abbiamo detto che quanto di sgradevole viene pubblicato sui social non è colpa del medium. Oggi questa tesi non è più sostenibile, perché i social sono delle vere e proprie media company». Gli hate speech (post che trasmettono odio), la gestione dei profili degli utenti defunti, il difficile confine tra satira e offesa, tra arte e pornografia sono stati altri temi al centro del confronto. «I social sono nati come un gioco nei dormitori dei campus universitari americani. Oggi controllano l’informazione e l’economia a livello globale. Ci mangiano il tempo e noi doniamo loro le nostre informazioni» ha rimarcato il professor Degli Esposti. «Riprendetevi il vostro tempo, siate più critici, diventate cleaners del vostro microcosmo digitale» ha detto la Zaccone, in conclusione, alla platea.
L’immagine in altre sue declinazioni è stata protagonista anche di due eventi nel pomeriggio di ieri all’interno di Educa Immagine, la rassegna dell’audiovisivo promossa da Consolida con la direzione artistica di Trentino Film Commission e la collaborazione di tutti i partner del festival EDUCA.
Alla Sala conferenza del Mart la proiezione del film su Vivian Maier, un’insospettabile bambinaia statunitense (1926-2009) che nella sua vita, all’insaputa di tutti, ha scattato e accumulato oltre 150.000 fotografie di strada, vere opere d’arte. Il film racconta la storia del giovane che ha fatto la scoperta comprando alcuni suoi scatti a un’asta e che ha passato anni a capire chi fosse e dove fosse vissuta. Con gli esperti del gruppo toscano «Lanterne magiche», insegnanti e pubblico hanno imparato a guardare le immagini e a studiarne il linguaggio, con possibili percorsi laboratoriali scolastici. Al Palazzo dell’Istruzione le educatrici della cooperativa La Coccinella hanno proposto ai bambini in età 1-4 anni laboratori basati su alcune opere d’arte, colori e materiali tratti dall’esperienza artistica futurista di Fortunato Depero.
Oltre 400 spettatori ieri sera al Melotti per il film-evento «Quello che i social network non dicono»
EDUCA: Il «lato oscuro» delle immagini e i segreti dei social network
Un docu-film forte come un pugno nello stomaco. La serata di punta di «Educa Immagine», la nuova rassegna dell’audiovisivo, ha portato all’Auditorium Melotti di Rovereto un pubblico attento e curioso di capire cosa i social network tengono nascosto. Chi rimuove le immagini impubblicabili, sconvenienti, che turbano pudore e sensibilità? Sono algoritmi o persone fisiche? E quanta censura digitale c’è nei singoli Paesi? Domande profonde, cui hanno cercato di dare risposte l’apprezzato film in anteprima nazionale (da oggi nelle sale italiane) e gli esperti di comunicazione digitale che hanno dato vita al dibattito seguito alla proiezione.