
Nell'incontro il "caso italiano" è stato letto in confronto all'Europa e agli Stati Uniti. Si è parlato di welfare, di mercato del lavoro e del ruolo della famiglia nel determinare le chance di mobilità socioeconomica individuali. Ci si è chiesti cosa fare per ridurre le diseguaglianze sociali, in quali settori e direzioni muoversi.
Daniele Checchi (che è anche membro del comitato provinciale di valutazione del sistema scolastico trentino) ha spiegato: "L'Italia combina due cattivi funzionamenti. Innanzitutto scelte e risultati scolastici correlati alle origini familiari (con ragazzi incanalati nei licei o nella formazione professionale già a 14 anni). Si potrebbe correggere la situazione cambiando le pratiche didattiche a cominciare da un insegnamento per obiettivi disciplinari e per competenze. Inoltre abbiamo un mercato del lavoro che non riconosce il merito. La seconda cosa è che abbiamo il passaggio all'università a sua volta socialmente determinato. Così come gli abbandoni nel percorso universitario. La probabilità di iscriversi all'università, nonostante la riforma del 3+2, è rimasta legata all'origine sociale della famiglia. L'introduzione del numero chiuso è la risposta al taglio dei docenti: ma è una politica buona o cattiva? Una politica equa sarebbe fare delle graduatorie per origine sociale".
Per Stefani Scherer "la famiglia di origine italiana ha il braccio molto lungo. Ma è un dato strutturale e non culturale". Ha ripreso: "L'impatto della crisi sui giovani è stato minore in Italia perché molti vivono in famiglia. Il rischio però è che i giovani non formino una famiglia loro. E qui scatta anche un problema demografico e di invecchiamento della popolazione. In Italia e in Spagna poi la nascita di un figlio espone a un maggiore rischio di caduta in povertà della famiglia. Ciò significa che ci sono politiche sociali non efficaci".
Gøsta Esping-Andersen, che si è soffermato sulla polarizzazione sociale in vari campi, ha concluso: "Oggi sappiamo che la democratizzazione del sistema educativo non è una formula magica. Però gli psicologi dell'età evolutiva ci dicono che i primi sei anni di vita sono fondamentali, anche per il successo scolastico. La stimolazione cognitiva precoce è decisiva. L'asilo nido di alta qualità compensa la mancanza di stimolazione nelle famiglie di origine. In Norvegia, dove le esperienze prescolari sono di qualità, i bambini di ceti bassi ai test cognitivi hanno dimostrato ottime performances". -