Un percorso complesso e ambizioso, quindi, quello intrapreso dal Trentino, come delineato dai relatori che si sono succeduti oggi. Giorgio Tecilla, Giuseppe Altieri e Giulio Orsingher hanno esposto le direttive internazionali ed il quadro locale in materia di suolo ed in particolare le evidenze emerse dalla ricerca realizzata dall’Osservatorio del Paesaggio in Vallagarina. Il suolo è una risorsa non rinnovabile, o rinnovabile in tempi lunghissimi. Non solo: il suolo non è mera superficie. E’ un ecosistema complesso, che svolge anche funzioni ecologiche importanti.
Studiare il consumo di suolo significa studiare da un lato gli aspetti urbanistici, dall’altro quelli naturalistici, relativi all’artificializzazione (o impermeabilizzazione) dei suoli (conformemente all’approccio di ISPRA, con cui l’Osservatorio collabora). Lo studio dell’Osservatorio, peraltro, non si è limitato ad esaminare l’esistente ma ha elaborato delle previsioni per il futuro, sulla base delle previsioni insediative contenute nei Piani regolatori generali, ovvero degli strumenti urbanistici comunali.
A livello provinciale, i dati (che risalgono a 10 anni fa), descrivono un 3,27% di suolo provinciale classificato come urbano, un 10% rurale, un 52% destinato a bosco, un 12% a pascolo e un restante 21% a rocce. Dati che non sembrerebbero particolarmente inquietanti, ma che interessano un territorio dove solo una piccola porzione di suolo, quella dei fondovalle, può essere destinata ad insediamenti. La dinamica di occupazione dei suoli, inoltre, non è pari all’aumento della popolazione (come vorrebbero le normative internazionali). Il consumo di suolo è cresciuto più che proporzionalmente, anche se la velocità di questa crescita negli ultimi anni è rallentata, segno che un qualche segnale di inversione di rotta sta emergendo. In Trentino 21.500 ettari di suoli sono oggi fortemente antropizzati, con picchi in Vallagarina e valle dell’Adige: parliamo di strade, case, fabbriche, anche giardini, ad esempio, cioè di tutto ciò che l’uomo ha prodotto in termini di occupazione dei suoli.
In termini di trasformazione “fisica” dei suoli, in Italia il 7,1% dei suoli risulta oggi impermeabilizzato; in Trentino è il 3,7%, ma spalmata su una percentuale di superficie utilizzabile non più alto del 10-12%. Non solo: l’occupazione di suolo avviene a scapito dell’agricoltura, e nonostante in Trentino, rispetto all’Alto Adige, già oggi il contributo dell’agricoltura al pil provinciale sia notevolmente più basso (a fronte di una percentuale di suolo artificializzato più bassa in Alto Adige che in Trentino). L’artificializzazione dei suoli pone fra l’altro anche un problema percettivo, ovvero di impatto visivo, paesaggistico. Cosa non trascurabile in un territorio fortemente attrattivo sul piano turistico. Al tempo stesso, in alcune aree si registra, rispetto al passato, un progressivo abbandono delle aree agricole (ad esempio quelle terrazzate), con una crescita del bosco.
Luci e ombre, dunque. In uno scenario che prevede ancora un’espansione notevole degli insediamenti sulla base dei PRG già approvati, ma anche una ulteriore crescita delle infrastrutture, determinata da decisioni di natura sovracomunale e a volte anche extraprovinciale.
L’obiettivo di un consumo zero di suolo entro il 2050, posto dall’Agenda 2030 dell’ONU, sembra essere insomma molto lontano.
Per quanto riguarda la Vallagarina, ovviamente Rovereto è il territorio più antropizzato (in circa il 19% circa della superficie totale del territorio comunale), mentre Terragnolo è quello che lo è di meno. Rovereto del resto è anche il centro industriale più importante del Trentino, con quel che ne conseguente intermini di utilizzo dei suoli come aree produttive. Dal 2011 c’è stata invero una riduzione (di un ettaro all’anno circa) delle aree industriali, dovuta a una progressiva delocalizzazione. Ma un altro dato salta all’occhio: che rapporto abbiamo fra occupazione di suolo e posti di lavoro? In realtà dal 1971 al 2016 vi è stato un calo di circa il 45% degli occupati nel settore secondario, a fronte di una crescita degli insediamenti industriali dell’85%. L’equazione “più aree industriali=più posti di lavoro”, insomma, non è più necessariamente vera.
La domanda quindi è: quanto è sostenibile pensare ad una ulteriore espansione delle aree antropizzate, anche per insediamenti produttivi? Densificazione e riuso del patrimonio edilizio possono essere risposte più razionali, ma devono coniugarsi con la qualità degli spazi urbani e con la tutela dei valori storici e architettonici del patrimonio esistente.
La giornata si è chiusa con una tavola rotonda a cui hanno partecipato Andrea Miniucchi, assessore alla Qualità del vivere urbano del Comune di Rovereto, Maurizio Tomazzoni, vicepresidente INU sez. trentina, Giorgio Tecilla, dirigente UMSE Urbanistica, Bruno Zanon, docente di urbanistica, Dario Piccinellli, delegato di Confindustria per Rovereto, moderata dal giornalista Domenico Sartori.