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Riflette sulla montagna, Cognetti. Lui, nato cittadino, a Milano, dove ha vissuto per tanti anni prima di trasferirsi in una baita a 2000 metri che ogni tanto abbandona per ridiscendere in pianura. Lo scrittore de “Le otto montagne”, successo di pubblico e critica che potrebbe entrare nella cinquina dello Strega, non fa sconti. “La montagna a volte mi intristisce – afferma – Perché lassù c’è anche povertà culturale, razzismo e maschilismo, bisogna pur dirlo. E’ per questo che è necessario “ricoltivarla” di arte, letteratura, di cultura. E sto cercando di farlo”. Poi parla del premio Strega. “C’entra tanto il potere degli editori – sottolinea – Non dipende certo da me riuscire a vincerlo. Però, se succedesse, entrando nella cinquina, sarebbe bello che uno scrittore di montagna vincesse un premio di pianura”.
Lo scrittore milanese “rivendica” come modelli personaggi quali l’alpinista Ettore Castiglioni e Mario Rigoni Stern: “Sono stati grandi uomini. Ad un certo punto, durante il fascismo, hanno preso una strada precisa, hanno scelto da che parte stare”. A proposito del ruolo dello scrittore, di quanto possa o meno “succhiare” dalla realtà, facendo riferimento a “Le otto montagne” dice che “nello scrivere, si mischia realtà e invenzione, nel mio romanzo ci sono parecchi elementi raccolti dalla vita di ogni giorno”. Ritorna poi alla montagna. “Scriverne – sottolinea – è stata un’urgenza perché la montagna ha fatto irruzione nella mia vita. Certo, osservo quel che vi succede e noto anche dei paradossi. Capita che chi vive in montagna voglia piloni e funivie mentre i cittadini che salgono chiedano natura e marmotte. Sono due sguardi che hanno entrambi diritto di esistere. La soluzione sta nella dialettica”. “Città e montagna – conclude lo scrittore – sono certo due opposti ma che dialogano e si alimentano. Entrambi fanno parte della mia vita”.