«La diffusione del telelavoro su vasta scala e su base permanente rappresenta una delle eredità più ricche di conseguenze lasciate dalla pandemia per l’economia e per la società nel suo insieme - ha esordito Alessandra Proto - e se durante la crisi tale soluzione si è rivelata decisiva nel tutelare parte dell’occupazione, le evidenze indicano che non tutti i lavoratori, le famiglie e le imprese hanno potuto sfruttare questa opportunità a causa di carenze normative, organizzative, di competenze e infrastrutture digitali».
Lo studio “Esplorando le opzioni di policy sul telelavoro” presentato da Mattia Corbetta, analista del Centro Ocse di Trento, ha infatti esaminato oltre 80 politiche adottate da 26 paesi e 29 tra regioni e città da tutto il mondo, ricavandone la convinzione che un modello di telelavoro di massa non regolato rischierebbe di esacerbare le diseguaglianze sociali e minare la stabilità dei mercati locali del lavoro, già minacciati da sfide pre-Covid di portata globale quali l’automazione e gli squilibri demografici. Per questo, chiarisce lo studio, occorre aggiornare e ampliare le normative esistenti e gli schemi di conciliazione vita-lavoro, avviare piattaforme pubblico-private per erogare informazioni, servizi e formazione digitale a imprese e cittadini, discutere nuovi programmi di sviluppo urbano e infrastrutturale, definire incentivi per favorire l’adozione delle tecnologie e promuovere modelli organizzativi che rafforzino le competenze abilitanti per il telelavoro.
Il confronto con i rappresentanti delle parti sociali e delle istituzioni locali, espressione della trasversalità della tematica e della pluralità di prospettive e implicazioni che la circondano, ha lasciato spazio a posizioni sfidanti e dialoganti.
«La Provincia autonoma di Trento ha avviato il primo progetto strutturato di telelavoro per il proprio personale già nel lontano 2011 - ha ricordato Stefania Allegretti, dirigente provinciale - ricevendo un forte riconoscimento a livello nazionale e presentandosi come una cassetta degli attrezzi pronta all’uso da parte delle amministrazioni interessate ad adottare un piano di lavoro agile», a partire da Veneto e Lombardia, le prime regioni interessate da misure restrittive negli scorsi mesi, e diffondendosi via via anche ad altri territori. «La prospettiva futura è quella di passare a un distretto Trentino “smart”, estendendo a tutta la Provincia i benefici di questa modalità lavorativa allo scopo di ridefinire i rapporti di equilibrio tra centro e periferia, rendendo attrattivo tutto il territorio, compreso quello di montagna».
«Le sfide poste dalla pandemia, come la sospensione di alcune attività economiche per ragioni di salute pubblica, hanno incoraggiato ampie fasce del tessuto imprenditoriale ad accelerare percorsi di digitalizzazione troppo spesso procrastinati in passato», ha evidenziato Alessandro Santini, vice direttore di Confindustria Trento. «La cooperazione tra settore pubblico e privato assumerà in futuro una nuova centralità per favorire una diffusione sostenibile di nuovi modelli organizzativi che vadano a vantaggio della produttività aziendale e della conciliazione vita-lavoro».
«Diritti e doveri dei telelavoratori dovranno trovare una compiuta regolamentazione entro i contratti collettivi di lavoro - ha spiegato Andrea Grosselli, di Cgil Trentino - nell'obiettivo tra l'altro di raggiungere più elevati livelli di produttività e di sperimentare un'organizzazione del lavoro realmente adattabile alle esigenze di conciliazione familiare di lavoratrici e lavoratori. Si tratta di una sfida complessa perché la transizione all’economia digitale può produrre le condizioni per un miglioramento generale della condizione lavorativa, ma allo stesso tempo non si può escludere a priori il rischio dell'emersione di nuove forme di diseguaglianza e il pericolo di un'ulteriore estensione dei processi di esternalizzazione che spesso riducono la qualità dell'occupazione».